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Trame Emotive

mostra personale

21.05 > 04.06|2022

venersì, sabato e deomenica h 17-19:30 e su appuntamento

Galleria ranarossa 3.0

 

Inaugurazione 21 maggio, h 18

via montevecchio 21 | modena

 

 

 

 

testo critico a cura di Chiara Serri | CSArt, Reggio Emilia

 

 E immersi noi siam nello spirto Silvestre,

d’arborea vita viventi

[Gabriele D’Annunzio, da La pioggia nel pineto]

 

Per Cetti Tumminia – artista modenese classe 1977 – l’arte è disciplina solitaria, epifania dello spirito, profonda introspezione che sfocia in un sentimento panico, in una completa fusione tra uomo e natura. Così come nella poesia La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio il volto della donna amata dal poeta si trasforma in una foglia boschiva adornata di chiare ginestre, allo stesso modo nelle opere di Cetti Tumminia il virtuosismo della grafite conduce lo spettatore in una dimensione onirica, ove la figura femminile diviene potenza divina, metafora stessa dell’arte che si rinnova. Le trame emotive – e pittoriche – dell’artista si fondono con il suono della natura in una narrazione che dal particolare muove verso l’universale, fino a rivelare l’essenza della realtà. Lasciata da parte l’idea tradizionale di ritratto, inteso come fedele (o ideale) rappresentazione delle fattezze di un individuo, Cetti Tumminia scrive, di opera in opera, le pagine di un diario privato che trova eco in una dimensione collettiva, dando voce a sentimenti e stati d’animo ascrivibili al vivere contemporaneo. Tante alterità che confluiscono in un’identità liquida, frammentata, non del tutto risolta, in un’apparizione Effimera (questo il titolo di una delle principali serie in esposizione) che si solleva momentaneamente dal fondo per poi rituffarsi nel normale fluire delle cose. Non a caso, i fondali suggeriscono in genere un’idea di movimento, di michelangiolesco non-finito, attraverso il quale stabilire un possibile contatto con l’Assoluto. Le opere di piccole e medie dimensioni presentate alla Galleria 8,75 Artecontemporanea, tutte realizzate dal 2017 al 2019, sono accomunate dal soggetto – la figura femminile –, ma anche dalla scelta della carta come materiale d’elezione, di volta in volta lavorata a grafite, matite colorate e PanPastel, così come attraverso l’applicazione di stucchi successivamente incisi e graffiati. Materia come memoria che, specialmente nei lavori appartenenti al ciclo Dissolvenze, sembra alludere al bianco e nero fotografico, appreso da Cetti Tumminia nella camera oscura del padre, o ancora agli effetti drammatici del teatro (di cui l’artista ha fatto lunga esperienza), fino al nero profondo, ottundente, che sottrae l’immagine al consueto fluire del tempo, rendendola eterna. E il tema del tempo ritorna, infine, nelle decorazioni floreali che ricorrono in numerose opere. Motivi appresi dalla mano della madre e riprodotti con grande cura e perizia sulla carta. Punzoni che corrono lenti sugli stucchi. Solchi sottili ottenuti attraverso la rimozione delle paste. Fiori di campo, lillà e peonie. Foglie che diventano chiome su volti molli di pioggia, d’arborea vita viventi…

Quattro oscillazioni tra il senso e la perdita

Enrica Berselli   Alice Padovani   Federica Poletti   Cetti Tumminia

Contributo critico di Maria Chiara Wang

 

26.06 > 10.07|2021

 

INGRESSO LIBERO contingentato, ore 18-21:

– Vernissage sabato 26 giugno

– Finissage sabato 10 luglio

alla presenza delle artiste

 

Aperture su appuntamento:

per informazioni e prenotazioni chiamare il nr. 3403054189

 

Spazio Culturale Madonna Del Corso – Via Claudia 277, Maranello (MO)

IPERURANIO

testo di Maria Chiara Wang

 

Nulla è nell’intelletto che non si trovi prima nei sensi.

[‘De Veritate’, Tommaso d’Aquino]

 

Arte e Filosofia – ovvero téchne, come modello gnoseologico, e amore per la sapienza – sono i due estremi tra i quali Enrica Berselli, Alice Padovani, Federica Poletti e Cetti Tumminia oscillano nella loro indagine sul significato dell’essere e sulla sua perdita.

Quattro ‘anime sensitive’, per dirla con Aristotele, in grado di percepire e ricevere, attraverso i sensi, impressioni da stimoli esterni o interni e di intuire, così, il molteplice empirico.

 

Lo Spazio Espositivo Madonna del Corso si trasforma per questa occasione in una sorta di Iperuranio platonico, ossia in una dimensione metafisica, ‘aspaziale’, atemporale, dunque puramente spirituale, ove risiedono le idee.

 

Enrica Berselli presenta per l’occasione Anafilassi da Stasi, Anafilassi da Mutilazione Dialogica e Anafilassi da Segregazione Metallica: cere anatomiche che riproducono, mediante le imperfezioni e le anomalie della loro superficie, le reazioni epidermiche causate da una certa forma di ipersensibilità a determinate sostanze antigeniche. In questo caso l’aumentata reattività immunitaria è causata da fattori emotivi, pensieri, concetti e condizioni particolari che, come un allergene, disturbano l’equilibrio individuale. La risposta del corpo proposta dall’artista in queste opere è estrema, immaginifica, fantastica finanche paradossale, così come lo è l’impiego dei modelli in cera con un fine differente da quello divulgativo canonico.

La pelle è quella membrana che se da un lato ci separa, ci scherma e ci contiene rispetto al  mondo esterno, dall’altro ci mette in comunicazione con esso e – in quanto tale –  è la superficie maggiormente coinvolta in questo scambio, e i pori, in particolare, ne sono la parte deputata al passaggio, capillare e osmotico, tra il dentro e il fuori.  In tale prospettiva, la cera d’api è il medium prediletto per riprodurre i segni dell’epidermide mediante i quali rendiamo visibile l’aspetto vulnerabile della nostra sensibilità; è tramite questo materiale antico, malleabile, naturale ed organico che l’artista riproduce sia la geometria rigida e rigorosa del patch test applicato sul lato esterno dell’arto che la reazione corporea, casuale e caotica all’interno dello stesso.

L’intero corpus di opere di Enrica Berselli si delinea così, come un’analisi del tentativo di controllare il caos, di riportare all’ordine l’entropia scatenata dalla reazione del nostro organismo a ciò che lo stesso riconosce come estraneo e nocivo, di gestire l’Unheimlich freudiano (il perturbante), ovvero quel sussulto che nasce dal riconoscimento parziale dell’oggetto osservato e che qui si nasconde nell’irregolarità delle superfici scolpite.

 

Nel contesto che si è iniziato a delineare, Fade to Black di  Alice Padovani rappresenta un’ulteriore interpretazione sia della mancanza di ordine e di controllo, che delle sensazioni contrastanti che si possono provare dinnanzi a situazioni che ci dividono tra l’attrazione e la repulsione, tra la meraviglia e l’orrore. I coleotteri sono disposti sul manichino nero in modo confuso, apparentemente casuale, come a renderne l’imprevedibilità del movimento; nell’ambivalenza del loro essere richiamano alla mente la vita e la morte, in un’alternanza che difficilmente trova un punto di equilibrio.

Nell’installazione Solid le ambivalenze si ricompongono e torna a dominare il rigore dello spirito scientifico che bilancia e compensa la spontaneità dello slancio creativo dell’artista. Ritroviamo in quest’opera la cifra stilistica di Alice Padovani, quel suo spirito classificatorio in grado di recuperare, conservare e catalogare e poi disporre in maniera geometrica intere collezioni di reperti organici – vegetali e animali – e inorganici.

Nella campana di vetro con farfalla blu della serie Dead times revive in thee l’attenzione torna a concentrarsi su un unico soggetto, e sul contrasto tra la fragilità del lepidottero ed il senso di protezione suggerito dalla teca che la custodisce. L’artista registra così la memoria naturale intrecciandola e fondendola a quella personale.

 

Federica Poletti – nei disegni delineati a matita e trasfigurati dal fuoco, così come negli olii su tela – concentra la propria ricerca sulla malinconia, ovvero su quello stato d’animo meditativo che nasce da un’intima, ‘quieta e dolce’ tristezza, e sulla morte quale momento di transizione fortemente impregnato di questo sentimento. L’arte interviene in tale analisi come strumento per evocare l’universo dell’inconscio, per rendere visibile la realtà che non cogliamo attraverso i cinque sensi, ciò che fisicamente non percepiamo del fenòmeno.

In Sepolta nel bosco, in Amnios e Vanagloria ansie, paure, irrequietezze vengono avvolte da un’atmosfera romantica che affascina e chiama a sé lo spettatore. Il mistero celato nelle tinte cupe, così come nei soggetti rappresentati sublima in una natura rigogliosa, selvatica, rampicante che avvolge e protegge i corpi. Il colore vivo e acceso dell’elemento vegetale contrasta con quello livido delle figure e con quello scuro dello sfondo, e riporta un sufflato di speranza.

Nella serie Drawings, l’oscurità lascia il posto alla luce del foglio bianco, la natura alla combustione: è il fuoco a celare le identità ritratte, ad aggiungere un velo di mistero e di entropia all’eleganza classica delle figure. Ancora una volta la presenza umana pare essere sopraffatta, nella sua solitudine, da una forza esterna.

È così che nei lavori di Federica Poletti la melancholia diventa un canone estetico.

 

Nelle opere di Cetti Tumminia –  Entità luce, Il Bianconiglio, L’abisso in un acquario, della serie PAREIDOLIA | Evoluzione di un vuoto pieno – l’indagine sul senso dell’esistenza viene resa attraverso i contrasti luce/ombra e pieno/vuoto: è la luce, infatti, a delineare le forme e a determinarne il contenuto, facendolo emergere dal buio. È cosi che entità fluttuanti e luminose diventano simbolo della ricerca di un equilibrio che troppo spesso si dissolve nella sensazione di smarrimento. Lo stato d’animo dell’artista diventa lo specchio in cui si riflettono un sentire ed un istinto collettivo, quello della sopravvivenza, della ricerca al proprio interno di quel barlume che getta una speranza sul futuro.

L’occhio del pubblico è stimolato a rintracciare nelle figure dipinte con olio su tela sagome conosciute e conservate nella memoria. Attraverso la Pareidolia, ovvero tramite quel fenomeno che mediante processi psichici istintivi ci consente di rintracciare strutture ordinate e forme familiari all’interno di immagini disordinate, l’artista reinterpreta in chiave contemporanea la teoria aristotelica sull’anima. Nell’opera che funge da introduzione ai successivi trattati sulla biologia, il filosofo greco definisce la sensibilità come la capacità di provare percezioni attraverso i sensi, laddove per percezione viene inteso il passaggio dalla potenza all’atto sia dell’organo che percepisce che dell’oggetto percepito: nel primo si plasma una rappresentazione del secondo chiamata  phàntasma custodita nella memoria e riprodotta dall’immaginazione (phantasìa).

Le entità ritratte da Cetti Tumminia sembrano librarsi in vuoto saturo dei toni del blu degli abissi marini e della volta celeste, è un vuoto che in realtà nella sua coincidenza con i colori del buio e nel contrasto con la luce perde quella sensazione di forte paura, altrimenti conosciuta come horror vacui o cenofobia.